Avete mai messo a radicare i semi dell’avocado nell’acqua con quella tecnica degli stuzzicadenti? Cambi l’acqua costantemente controllando che il livello sia giusto, ti informi su internet, guardi i tutorial, tutti dicono sia un gioco da ragazzi e che ne crescerà presto una radice e un germoglio da poter ripiantare.
Io l’ho fatto, in questo periodo in casa, nei miei 53 giorni di quarantena, periodo in cui ho pensato molto al concetto di casa, che, differente per ognuno di noi, disegna un’immagine più o meno precisa nella mente.
Alla mia domanda i bambini hanno disegnato semplicemente la casa così come la immaginiamo, con il tetto a punta, due finestrelle, porta e come il luogo della famiglia; qualcuno ha espresso un concetto più tecnico fatto di spazi e schemi precisi; qualcuno, invece, ha trovato interesse nella casa come caos; qualcun altro ha risposto verbalmente alla mia domanda parlandomi della “casa delle relazioni”.
Il concetto di luogo delle relazioni tra i componenti, ossia del nucleo famigliare, il luogo dell’occasione per conoscersi e condividere, che io ho subito ribaltato alla mia esperienza, invece fatta come tanti in solitaria, pensando effettivamente alla relazione che ho con me e il luogo in cui vivo o ancora trasponendo il significato di relazione con l’altro, che più comunemente si vive fuori dalle mura, come un nuovo concetto di relazione che invece dev’esserne interno.
Google intanto dice:
casa
/cà·sa/
sostantivo femminile
1. Costruzione eretta dall’uomo per abitarvi, suddivisa in vani ed eventualmente in piani
2. L’abitazione di una persona sola o di una famiglia
Ci siamo ritrovati da un momento all’altro a vivere la casa come l’unico luogo possibile, l’unico luogo sicuro, l’unico luogo per le cose che facciamo quotidianamente almeno in 5 posti diversi: lavoro, scuola, sport, bar, “chiesa”.
Ma eravamo pronti a questo o meglio le nostre case erano pronte ad ospitare tutte queste nuove esigenze e i loro inquilini 24h su 24h?
È stato necessario quindi rivedere l’assetto delle nostre abitazioni dotando loro dell’indispensabile per consentire lo svolgere delle attività giornaliere non casalinghe, concentrandoci su esigenze specifiche, andando oltre quello che spesso è semplicemente il luogo di ritorno della giornata.
Individuando ad esempio postazioni adatte al telelavoro, sgomberando le scrivanie, non più utili solo alla camera dei ragazzi, ragionando sull’importanza di spazi adatti alla condivisione ed altri invece dedicati alla privacy.
Abbiamo riscoperto ad esempio l’esigenza dei filtri d’ingresso, che permettano di avere un primo step per non “far entrare il fuori dentro” e farci sentire più sicuri. Questo vuol dire che torneranno gli ingressini? È un brivido di paura a cui adesso non voglio pensare!
Oppure abbiamo accolto la necessità dell’attività fisica, ruolo quotidiano imprescindibile per molti sportivi e che nella casa solitamente non trova una collocazione facile, dati gli ingombri dell’attrezzatura e la spazialità necessaria allo svolgimento degli esercizi.
Quanto le nostre case sono dotate di ciò che è per noi necessario? Ma quanto ancora, e qui entra in ballo l’aspetto emotivo a me più caro, rispondono all’esigenza di personalizzazione fondamentale allo svolgimento delle attività generiche per tipologia d’azione, ma singolari per fruitore?
Cucire addosso una casa, come per l’abito non è solo un’operazione di misure, ma anche di accoglienza e comfort emotivo che guarda la funzionalità e lo scopo e ne va oltre. Inserire il necessario, dalle attività extra casa a ciò che costituisce per l’inquilino importanza e benessere, permette di creare un concetto di casa unico con l’abitante, in cui non descriviamo più semplicemente il contenitore bello, funzionale, accogliente, ma completandone l’essere descriviamo un noi e quindi una relazione continua di condivisione e benessere.
I miei semi non hanno ancora germogliato, sono lì fermi, placidi nella loro acquetta, accanto al necessario.
Di Andrea Iride.
Pubblicato su Metamorfosi Quotidiane, www.vitrtuquotidiane.it